Alcune considerazioni sul futuro di Internet (in Italia)
Tavola Rotonda | 22/05/2003 |
Joy Marino
Volevo raccogliere
la sfida del on. Antonio Palmieri e quindi proporvi con il mio intervento
qualche cosa che fosse contro la tristezza e la mediocrità. Prometto
quindi di non essere triste né darvi tristezza, e comunque dire
delle cose che siano magari un po' laterali rispetto agli interventi di
oggi, ma che possono essere un contributo originale che ci faccia meditare.
Vediamo se riesco a condividere con voi alcuni ragionamenti che sto facendo ad alta voce e che avrei organizzato intorno a quattro dicotomie: aperto-chiuso, piccolo-grande, interno-esterno, lento-veloce. 1. Aperto-chiuso Ricordo che quando sono stato il primo presidente AIIP (Associazione Italiana Internet Providers) nel 95-97 - sono passati un po’ di anni! - il leit-motif intorno a cui costruivo molte presentazioni era “ Abbiamo bisogno di ecosistemi sostenibili, bisogna fare attenzione alle monoculture:. Che cosa c’è di male nelle monoculture? Se ho la migliore pianta di grano esistente al mondo e la semino dappertutto avrò grandi raccolti, sfamerò tantissima gente e farò felici tutti. Ma questo non è vero: pensate alla carestia in Irlanda alla fine del 1800 a causa della moria delle patate, quella era una monocultura; pensate a tutti quei casi in cui la diversità, biodiversità in Amazzonia, o informatico-diversità nel nostro caso, è un valore di per sè. Bisogna preservare la diversità e la diversità si preserva mantenendo i sistemi aperti. Fatemi ricordare un film americano, un film di serie B dei tempi della guerra fredda: “A prova di errore”, dove si parlava di sistemi nucleari difensivi ed offensivi che dovevano essere - appunto - a prova di errore, mentre così non accadeva e si scatenava l’olocausto nucleare. Ora sappiamo tutti benissimo che non è vero, non ci sono sistemi a prova d’errore: l’unica protezione che abbiamo è quella di consentire di seguire strade diverse, in modo che si costituiscano alternative. Anche per Internet è importante mantenere le alternative aperte, non finire nell’ambito delle culture chiuse. Culture che nascono molto spesso dai monopoli o dalle posizioni predominanti e qui vengo alla seconda dicotomia. 2. Piccolo-Grande Anche qui non intendo parlare direttamente di Internet. Gli architetti parlano di città a misura d’uomo: una città antica era una città dove con 30 minuti a cavallo o col carro si poteva arrivare in periferia, quella era la sua dimensione vivibile. La città moderna, almeno quelle se sono davvero vivibili, come Pisa o Bologna, non certo Milano o Roma, sono quelle dove con 30 minuti di autobus arrivo da casa in ufficio. Parigi è un esempio a parte perché con il TGV io in 30 minuti arrivo in periferia o addirittura nelle città vicine, quella è la sua dimensione umana. In ogni caso, non si può andare oltre senza rischiare la paralisi. Quando le cose crescono troppo, collassato da sole: molti di voi sono informatici, vi ricordate il gioco Life, che è un esempio dove le cose che crescono troppo poi muoiono da sole, implodono. Dopo tutto si tratta di un’altra (dopo la diversità) forma di protezione che la natura ha sviluppato. Poi siamo arrivati noi, quelli del mondo delle telecomunicazioni e delle reti, ed abbiamo creato un sistema dove in 30 msec si fa il giro del mondo, quindi, abbiamo tolto la dimensione del massimo perimetro al nostro villaggio globale, che in 30 minuti, lo possiamo percorrere tutto istantaneamente. Ma abbiamo anche reso possibili strutture elefantiache che però rimangono sostenibili, con la conseguenza che non possono essere regolate dai processi di natura, non sono in grado di regolarsi da sole e corrono il rischio di crescere a dismisura. Abbiamo bisogno di altre modalità per controllarle. Quando la Microsoft può raccogliere dati su un miliardo - ad essere ottimisti - di utenti dei suoi prodotti e non collassate per questo, c’è da preoccuparsi. In questo concordo con i messaggi di allarme di Rodotà: ci sono strumenti per cui io posso raccogliere dati e utilizzarli senza limiti di natura. Chi è grande ha dei vantaggi di scala, ci sono sempre dei fattori di scala; ad esempio nella presentazione di Caneschi io leggo il messaggio - a rischio di banalizzare - che qualunque TLD Register di un qualunque paese occidentale che arrivi a registrare un milione di domini è bravo e riesce a fare quel mestiere in maniera efficiente, indipendentemente da quali forme di regolamentazioni avesse a monte, semplicemente per il fatto che se ha completato un milione di registrazioni vuol dire che ha imparato a fare bene, altrimenti non sarebbe sopravvissuto. Il fattore di scala conta. Ma è vero anche che “piccolo è bello”, perché tutti i fenomeni innovativi nascono in piccolo. Anche l’Internet che conosciamo, con gli esempi che portiamo come fiori all’occhiello, da EBay ad Amazon, da Yahoo a Google e tanti altri, tutti sono nati piccoli. Lo stesso fenomeno degli Internet Service Provider, anche in Italia, è nato dal basso. Io ho cominciato questo mestiere nel 1989, dapprima in modo consortile, ed in modo imprenditoriale nel 1994; ho potuto farlo perché era possibile iniziare un impresa che poteva diventare significativa con i soldi che 4 amici che potevano mettere insieme al bar. Perciò “piccolo” è bello se ci sono le opportunità, ma attenzione che queste opportunità, man mano che il mercato si consolida vanno scemando. Bisogna però che lasciamo spazi affinché nuove iniziative possano nascere “in piccolo. Se non manteniamo degli ecosistemi sostenibili bruciamo il nostro futuro. 3. Interno-esterno Nell’intervento di Musumeci ho notato un passaggio molto interessante, che io leggo come una esternalità: uno dei grossi vantaggi che ha la scuola italiana arrivati al 2003 è che la gente in casa il PC ce l’ha e quindi non bisogna - o non è così importante - dotare i laboratori didattici di PC: bisogna utilizzare, attraverso Internet, quello che già esiste ed è un esternalità per il sistema scuola; gli investimenti li hanno fatti le famiglie, non ce bisogno che li faccia il governo. Per quanto mi riguarda, Internet è nata ed è sempre vissuta di esternalità, fin da quando noi utilizzavamo i calcolatori nelle università per giocare e per fare tutt’altro che per quello che erano previsti e che erano state pagati. Lo stesso Register italiano è nato come esternalità: mi ricordo l’anno in cui siamo stati chiamati a Pisa e ci è stato detto: scusate sono anni che noi (CNR) stiamo registrando domini per voi imprenditori che lavorate per denaro, da domani ci vorreste per favore pagare due lire per i servizi di cui usufruite ? Fino a quel momento era un’esternalità. Il free Internet di fatto è un esternalità: se, ad esempio, io ho bisogno di pubblicare i miei contenuti, di renderli fruibili a tutto il mondo e qualcun altro paga per venirli a vedere, non ci sono le edicole, le rotative, i rotoli di carta e così via, quella è un’esternalità. Forse è solo un’esternalità apparente, perché poi dall’altra parte della barricata c’è un mondo di TLC che non vive di affatto di esternalità, tende ad interiorizza tutto, compresa l’infrastruttura di rete Internet, come Barberis ha evidenziato molto bene. Barberis ci ha ricordato: non esiste un infrastruttura di rete Internet, nel senso di free Internet ( dial-up), esiste solo un infrastruttura di accesso voce che noi stiamo utilizzando più o meno propriamente. Qualcuno non è d’accordo su questo, pensa che se quella infrastruttura è stata pensata per la voce ed è di proprietà di un ex monopolista, questa infrastruttura deve essere pagata per come è sempre stata usata (cioè per la voce) e se occorre realizzare un infrastruttura diversa, quest’altra deve essere pagata per come deve essere usata (cioè per i dati), senza nessuna esternalità. Ad esempio questo è alla base di questa sostituzione del dial-up con ADSL che è attualmente in atto. Ho avuto modo di parlare sia con Barberis che con Frontiera ed ho timore che la loro scelta di focalizzarsi sul dial-up sia oggi pericoloso. Frontera può ricordare di aver fatto le battaglie di comunicazione incatenandosi vicino al Parlamento per ottenere la parità tra ISP e Carrier e per avere accesso paritetico ai soldi del dial-up, ma questa oggi sta diventando una battaglia di retroguardia. Vorrei richiamare un grafico presentato Barberis relativo alla crescita del traffico Internet, che a mio avviso non è così linearmente crescente così come è stato indicato: da l’autunno 2002 il traffico dial-up non cresce più, anzi diminuisce, perché Telecom Italia sta mettendo in atto sistematicamente con grandi mezzi un processo di sostituzione del dial-up con una infrastruttura pagata, controllata e non riproducibile basata su ADSL. Una esternalità viene nuovamente interiorizzata. Le conseguenze di questo avrànno profondi effetti sul mondo dei contenuti, perché nel momento in cui ci sarà - e di fatto c’è già adesso - un unico proprietario dell’infrastruttura d’accesso, questo sarà nella posizione di dettare le regole (anche qui una contrapposizione tra grande e piccoli) a chi ha contenuti fruibili e chi vorrà sopravvivere dovrà far ricorso a quelle due lire di retrocessione . così come proponeva Barberis, per produrre i suoi contenuti in condizioni di mera sopravvivenza. Questo è uno scenario assolutamente preoccupante. 4. Lento-veloce Tutti noi che abbiamo vissuto la new economy ci siamo sempre raccontati che siamo veloci, andiamo velocissimi, l’anno Internet vale 3-4 anni di vita normale; è vero non è vero, non sempre la velocità è un buon consigliere. Se andate a vedere l’evoluzione della registrazione dei domini del TLD.it, che è uno degli argomenti che ci riguardano, la storia che abbiamo accumulato è una storia di 15 anni e le variazioni sono state lente, tutte graduali. Non sempre andare veloci è una buona cosa; è difficile tener conto di tutti i possibili soggetti che saranno interessati dalle scelte che andiamo via via facendo, specie se stiamo correndo in autostrada. E ci sono soggetti di cui è facile dimenticarsi, specie correndo. Si sente parlare tantissimo di “constituencies” e andare piano o andare veloci vuol dire bruciare le possibilità delle constituencies che non ci sono ancora o non sono ancora nate per poter dire la loro su quello che è la gestione della rete così come l’abbiamo strutturata sino ad ora. Ed io personalmente preferisco andare piano e lasciare spazi di incertezza che si possono colmare strada facendo, mantenendo i sistemi aperti, salvaguardando i piccoli, non lasciando fuori nessuno, piuttosto che andare veloce e scoprire che mi sono andato a schiantare contro un muro. |
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