- Buongiorno,
io faccio parte dell’Istituto per le applicazioni telematiche del CNR di
Pisa, nato recentemente da una “costola” del CNUCE.
- Da diversi anni
mi occupo di progetti che si agganciano da un lato all’alta tecnologia
e quindi ai paesi più avanzati, in particolare gli Stati Uniti,
dall’altro a quei paesi che mi piace chiamare, più che paesi in
via di sviluppo, “technological emerging countries”, cioè nazioni
in via di sviluppo tecnologico.
- In particolare,
per conto dell’Unesco e dello IIP, Intergovernmental Informatics Program
dell’Unesco, abbiamo eseguito, con alcuni collaboratori, un programma che
si chiama RINAF, che sta per Regional Informatics Network for
Africa.
- Il progetto,
concepito alla fine degli anni ’80, è stato poi realizzato a partire
dal 1992 e adesso è in fase avanzata di realizzazione.
- Si prefigge
di portare servizi telematici, quindi sostanzialmente i servizi di base
di Internet, in 15 paesi africani, ai quali recentemente se ne sono aggiunti
altri quattro, con un’estensione che è attualmente in corso.
- È quindi
un progetto molto ambizioso che ha visto un finanziamento complessivo tra
1,5 e 2 milioni di dollari: una somma notevole, ma ancora insufficiente
se si considera l’ampiezza dell’obiettivo che ci siamo proposti. Il nostro
sforzo è stato quello di non imporre le soluzioni che a nostro avviso
erano le più efficaci, ma di cercare di capire quali fossero le
esigenze locali e le modalità per portare il massimo beneficio nelle
istituzioni con cui abbiamo lavorato.
- I nostri interlocutori
sono stati in certi casi le università, in altri casi enti di ricerca
o enti governativi preposti allo sviluppo dei paesi interessati. Questa
esperienza per certi versi è stata molto ricca anche dal punto di
vista tecnologico.
- Durante la gestione
del progetto ci siamo scontrati anche con la gerarchia dell’Unesco, il
quale, fortemente gerarchico, ha un approccio tipicamente top-down caratterizzato
da “politici” che governano e vogliono anche influenzare le scelte progettuali.
- Il progetto
era stato concepito con l’idea che ci fossero cinque poli regionali, ciascuno
dei quali decideva su tre poli nazionali gerarchicamente dipendenti dai
primi. Alla fine ci siamo resi conto che questo approccio era fallimentare,
perché è difficilissimo convincere dei paesi africani ad
occuparsi dei loro vicini, che magari parlano anche una lingua diversa.
- Al contrario
abbiamo sempre trovato grossissimo giovamento, e anche eccellenti rapporti
umani, con rapporti bilaterali, cioè proprio fra l’unità
operativa, che è stata stabilita qui a Pisa, e le varie università
o enti di ricerca che collaboravano con noi.
- Altro punto
molto importante quando si scelgono progetti di cooperazione è riuscire
a fare un ragionevole compromesso tra un approccio top-down e uno bottom-up.
Mi spiego meglio: l’Unesco sceglie tipicamente la via politica e vuole
un approccio top-down, cioè i politici parlano con gli eminenti
locali e alla fine decidono che l’ente con il quale si deve lavorare è
quel determinato centro di ricerca o università indicata dai governi
locali. Ciò significa che scelgono una università o un centro
senza preoccuparsi del fatto che ci siano pessimi collegamenti telefonici
o persone non motivate. Invece è bene conoscere la realtà
del paese nel quale si va a operare ed anche riuscire a sapere quali sono
effettivamente i centri più motivati e che danno maggiori probabilità
di successo.
- Tuttavia i due
approcci dovrebbero essere gestiti contemporaneamente, perché se
si sceglie un centro, anche molto motivato, ma che non ha alcun tipo di
appoggio politico, possiamo anche fornirgli inizialmente un po’ di servizi
e di soldi, ma alla fine non avrà più nessuna possibilità
di mantenere le strutture che gli abbiamo donato.
- Con questa faticosa
esperienza ci siamo trovati ad ottenere notevoli successi in nazioni dove
all’inizio avevamo fallito. I successi più grandi li abbiamo ottenuti
in Nigeria, il paese più popoloso dell’Africa e anche uno dei più
importanti, sebbene sia uno dei più turbolenti e sia poco affidabile
da un punto di vista politico. Comunque, grazie anche alla collaborazione
dell’Istituto internazionale di fisica di Trieste, siamo riusciti ad ottenere
dei riconoscimenti, anche governativi, molto lusinghieri.
- Entriamo ora
nel discorso, oggi importantissimo, dell’aspetto della società dell’informazione.
È evidente che la società dell’informazione nasce dal mondo
occidentale, più precisamente nasce dal Nordamerica ed è
ormai una realtà inarrestabile. Visto che non si può fermare,
i paesi in via di sviluppo, o tecnologicamente emergenti, devono in qualche
modo fronteggiare il problema di come porsi di fronte alla realizzazione
della società dell’informazione. Le loro infrastrutture di telecomunicazioni,
quindi reti telefoniche e reti per le telecomunicazioni in generale, sono
inefficienti e molto costose.
- Cosa possono
fare per non rimanere troppo indietro? Innanzi tutto possiamo provare alcune
tecnologie alternative e quindi, per esempio, i satelliti, che stanno sostituendo
la tradizionale trasmissione via cavo, l’uso di radio mobili e infine i
satelliti a bassa altezza e non solo quelli geostazionari. Insomma esistono
soluzioni tecnologiche i cui costi si fanno sempre più accessibili,
adattabili a paesi poveri di infrastrutture terrestri.
- Un altro problema
fondamentale, che stamani è stato trattato più volte e che
noi abbiamo affrontato nel progetto RINAF, è quello del cosiddetto
capacity building, cioè il problema del training di specialisti,
siano essi gli utenti finali o trainers, cioè docenti di docenti
o specialisti della pianificazione e della progettazione dei servizi telematici.
Questo è un punto estremamente importante e bisogna affrontarlo
anche con una certa umiltà, nel senso che bisogna sapere che per
avere specialisti formati capaci di gestire autonomamente questi servizi,
bisogna formarne non il doppio, ma almeno il triplo, se non addirittura
cinque volte di più del numero sufficiente; infatti è verissimo
– come è stato già evidenziato - che queste persone, una
volta appresa la tecnica, vanno a cercare impieghi più redditizi,
magari in Arabia Saudita o in altri paesi più ricchi o nelle imprese
commerciali di ditte di telecomunicazione della nazione stessa.
- E’ un fatto
inevitabile: non si può pensare con una piccola operazione di cambiare
la realtà economica e del mercato del lavoro dei paesi in cui si
opera. Direi che quando si parla di cooperazione, la formazione è
uno degli aspetti in cui è necessario dare, e ancora dare, sempre
di più. Questa almeno è la nostra esperienza.
- Concludo ricordando
una fattore importantissimo e cioè che quando si parla di società
dell’informazione, si intende anche lo sviluppo dei contenuti, cioè
informazione accessibile, scientifica, culturale, economica, e così
via.
- È noto
che il 90% dell’informazione relativa al continente africano non è
stata prodotta e non risiede in Africa, ma in altri paesi. Gli strumenti
informatici, Internet e gli sviluppi che si prevedono permetteranno senza
dubbio la crescita, nei paesi africani, di un notevolissimo patrimonio
informativo, fatto non solo di informazione scritta, ma anche orale, iconografica
e così via.
- Le più
importanti organizzazioni internazionali, tra cui l’Onu e in questo senso
anche l’Unesco, cercano di investire non più tanto sulla connettività
spicciola per accedere ad Internet, quanto sui contenuti, sul fatto che
gli africani possano non solo accedere all’informazione scientifica o tecnologica
che imparano dall’Europa o dal Nordamerica, ma anche produrre loro stessi
e vendere il prodotto locale per riuscire ad entrare a pieno titolo nella
società dell’informazione.
- Volevo soffermarmi
su un ultimo punto relativo a quello che Internet può contribuire
a realizzare e la cui potenzialità, secondo me, non è stata
ancora compresa fino in fondo da questi paesi. Mi riferisco per esempio
all’uso di Internet per realizzare il collegamento fra la popolazione locale
che vive in Camerun e tutti gli espatriati camerunesi che vivono nel resto
del mondo, in maniera da poter sia affermare il valore della cultura locale
in quanto tale, sia favorire il ritorno delle migliori esperienze, dei
“cervelli”, creando le condizioni perché almeno alcuni di loro possano
tornare e accrescere il livello locale. Infine l’ultima parte, la più
dolente, che è quella dei finanziamenti.
- Per fare tutte
le cose che ho detto, al di là degli enti donatori internazionali,
ci vuole una sensibilità politica a livello nazionale, perché
i fondi dati dall’esterno possano essere complementati con fondi dati dall’interno.
- Se questa sensibilità
non c’è, purtroppo succede che questi servizi deperiscono dopo che
è finita la spinta iniziale.
- Uno dei punti,
quindi, su cui è importante intervenire attiene alla necessità
di far crescere la sensibilità locale a livello dei decision markers
e dei politici.
- Questo è
il tipo di esperienza che ci siamo guadagnati: è certo difficile
ma, se c’è un concerto da parte degli enti finanziatori internazionali,
dei politici locali, e di tutti gli altri, costituisce l’unico modo per
assicurare una crescita.
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