Geopolitica della Rete

IL PROGETTO RINAF

Regional Informatics Network for Africa

  • Relazione presentata al Quarto workshop CONICS (CONsorzio Interuniversitario per la Cooperazione allo Sviluppo)

L' INFORMATICA NELLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO

Pisa Centro Le Benedettine

Lungarno Sonnino, 20 Lunedì, 2 novembre 1998

  • Relazioni di:
    • Luciano Modica,
    • Marco Mozzati,
    • Fabrizio Luccio,
    • Giampiero Maracchi,
    • Angelo Marzollo,
    • Giuseppe Traversa,
    • Samuele Cavazza,
    • Giovanni Iannelli,
    • Federico Ferrini,
    • Giovanni Padroni,
    • Francesco Molè,
    • Stefano Trumpy,
    • Giovanni Magenes
  • Atti del workshop

Stefano Trumpy

  • Buongiorno, io faccio parte dell’Istituto per le applicazioni telematiche del CNR di Pisa, nato recentemente da una “costola” del CNUCE.
  • Da diversi anni mi occupo di progetti che si agganciano da un lato all’alta tecnologia e quindi ai paesi più avanzati, in particolare gli Stati Uniti, dall’altro a quei paesi che mi piace chiamare, più che paesi in via di sviluppo, “technological emerging countries”, cioè nazioni in via di sviluppo tecnologico.
  • In particolare, per conto dell’Unesco e dello IIP, Intergovernmental Informatics Program dell’Unesco, abbiamo eseguito, con alcuni collaboratori, un programma che si chiama RINAF, che sta per Regional Informatics Network for Africa.
  • Il progetto, concepito alla fine degli anni ’80, è stato poi realizzato a partire dal 1992 e adesso è in fase avanzata di realizzazione.
  • Si prefigge di portare servizi telematici, quindi sostanzialmente i servizi di base di Internet, in 15 paesi africani, ai quali recentemente se ne sono aggiunti altri quattro, con un’estensione che è attualmente in corso.
  • È quindi un progetto molto ambizioso che ha visto un finanziamento complessivo tra 1,5 e 2 milioni di dollari: una somma notevole, ma ancora insufficiente se si considera l’ampiezza dell’obiettivo che ci siamo proposti. Il nostro sforzo è stato quello di non imporre le soluzioni che a nostro avviso erano le più efficaci, ma di cercare di capire quali fossero le esigenze locali e le modalità per portare il massimo beneficio nelle istituzioni con cui abbiamo lavorato.
  • I nostri interlocutori sono stati in certi casi le università, in altri casi enti di ricerca o enti governativi preposti allo sviluppo dei paesi interessati. Questa esperienza per certi versi è stata molto ricca anche dal punto di vista tecnologico.
  • Durante la gestione del progetto ci siamo scontrati anche con la gerarchia dell’Unesco, il quale, fortemente gerarchico, ha un approccio tipicamente top-down caratterizzato da “politici” che governano e vogliono anche influenzare le scelte progettuali.
  • Il progetto era stato concepito con l’idea che ci fossero cinque poli regionali, ciascuno dei quali decideva su tre poli nazionali gerarchicamente dipendenti dai primi. Alla fine ci siamo resi conto che questo approccio era fallimentare, perché è difficilissimo convincere dei paesi africani ad occuparsi dei loro vicini, che magari parlano anche una lingua diversa.
  • Al contrario abbiamo sempre trovato grossissimo giovamento, e anche eccellenti rapporti umani, con rapporti bilaterali, cioè proprio fra l’unità operativa, che è stata stabilita qui a Pisa, e le varie università o enti di ricerca che collaboravano con noi.
  • Altro punto molto importante quando si scelgono progetti di cooperazione è riuscire a fare un ragionevole compromesso tra un approccio top-down e uno bottom-up. Mi spiego meglio: l’Unesco sceglie tipicamente la via politica e vuole un approccio top-down, cioè i politici parlano con gli eminenti locali e alla fine decidono che l’ente con il quale si deve lavorare è quel determinato centro di ricerca o università indicata dai governi locali. Ciò significa che scelgono una università o un centro senza preoccuparsi del fatto che ci siano pessimi collegamenti telefonici o persone non motivate. Invece è bene conoscere la realtà del paese nel quale si va a operare ed anche riuscire a sapere quali sono effettivamente i centri più motivati e che danno maggiori probabilità di successo.
  • Tuttavia i due approcci dovrebbero essere gestiti contemporaneamente, perché se si sceglie un centro, anche molto motivato, ma che non ha alcun tipo di appoggio politico, possiamo anche fornirgli inizialmente un po’ di servizi e di soldi, ma alla fine non avrà più nessuna possibilità di mantenere le strutture che gli abbiamo donato.
  • Con questa faticosa esperienza ci siamo trovati ad ottenere notevoli successi in nazioni dove all’inizio avevamo fallito. I successi più grandi li abbiamo ottenuti in Nigeria, il paese più popoloso dell’Africa e anche uno dei più importanti, sebbene sia uno dei più turbolenti e sia poco affidabile da un punto di vista politico. Comunque, grazie anche alla collaborazione dell’Istituto internazionale di fisica di Trieste, siamo riusciti ad ottenere dei riconoscimenti, anche governativi, molto lusinghieri.
  • Entriamo ora nel discorso, oggi importantissimo, dell’aspetto della società dell’informazione. È evidente che la società dell’informazione nasce dal mondo occidentale, più precisamente nasce dal Nordamerica ed è ormai una realtà inarrestabile. Visto che non si può fermare, i paesi in via di sviluppo, o tecnologicamente emergenti, devono in qualche modo fronteggiare il problema di come porsi di fronte alla realizzazione della società dell’informazione. Le loro infrastrutture di telecomunicazioni, quindi reti telefoniche e reti per le telecomunicazioni in generale, sono inefficienti e molto costose.
  • Cosa possono fare per non rimanere troppo indietro? Innanzi tutto possiamo provare alcune tecnologie alternative e quindi, per esempio, i satelliti, che stanno sostituendo la tradizionale trasmissione via cavo, l’uso di radio mobili e infine i satelliti a bassa altezza e non solo quelli geostazionari. Insomma esistono soluzioni tecnologiche i cui costi si fanno sempre più accessibili, adattabili a paesi poveri di infrastrutture terrestri.
  • Un altro problema fondamentale, che stamani è stato trattato più volte e che noi abbiamo affrontato nel progetto RINAF, è quello del cosiddetto capacity building, cioè il problema del training di specialisti, siano essi gli utenti finali o trainers, cioè docenti di docenti o specialisti della pianificazione e della progettazione dei servizi telematici. Questo è un punto estremamente importante e bisogna affrontarlo anche con una certa umiltà, nel senso che bisogna sapere che per avere specialisti formati capaci di gestire autonomamente questi servizi, bisogna formarne non il doppio, ma almeno il triplo, se non addirittura cinque volte di più del numero sufficiente; infatti è verissimo – come è stato già evidenziato - che queste persone, una volta appresa la tecnica, vanno a cercare impieghi più redditizi, magari in Arabia Saudita o in altri paesi più ricchi o nelle imprese commerciali di ditte di telecomunicazione della nazione stessa.
  • E’ un fatto inevitabile: non si può pensare con una piccola operazione di cambiare la realtà economica e del mercato del lavoro dei paesi in cui si opera. Direi che quando si parla di cooperazione, la formazione è uno degli aspetti in cui è necessario dare, e ancora dare, sempre di più. Questa almeno è la nostra esperienza.
  • Concludo ricordando una fattore importantissimo e cioè che quando si parla di società dell’informazione, si intende anche lo sviluppo dei contenuti, cioè informazione accessibile, scientifica, culturale, economica, e così via.
  • È noto che il 90% dell’informazione relativa al continente africano non è stata prodotta e non risiede in Africa, ma in altri paesi. Gli strumenti informatici, Internet e gli sviluppi che si prevedono permetteranno senza dubbio la crescita, nei paesi africani, di un notevolissimo patrimonio informativo, fatto non solo di informazione scritta, ma anche orale, iconografica e così via.
  • Le più importanti organizzazioni internazionali, tra cui l’Onu e in questo senso anche l’Unesco, cercano di investire non più tanto sulla connettività spicciola per accedere ad Internet, quanto sui contenuti, sul fatto che gli africani possano non solo accedere all’informazione scientifica o tecnologica che imparano dall’Europa o dal Nordamerica, ma anche produrre loro stessi e vendere il prodotto locale per riuscire ad entrare a pieno titolo nella società dell’informazione.
  • Volevo soffermarmi su un ultimo punto relativo a quello che Internet può contribuire a realizzare e la cui potenzialità, secondo me, non è stata ancora compresa fino in fondo da questi paesi. Mi riferisco per esempio all’uso di Internet per realizzare il collegamento fra la popolazione locale che vive in Camerun e tutti gli espatriati camerunesi che vivono nel resto del mondo, in maniera da poter sia affermare il valore della cultura locale in quanto tale, sia favorire il ritorno delle migliori esperienze, dei “cervelli”, creando le condizioni perché almeno alcuni di loro possano tornare e accrescere il livello locale. Infine l’ultima parte, la più dolente, che è quella dei finanziamenti.
  • Per fare tutte le cose che ho detto, al di là degli enti donatori internazionali, ci vuole una sensibilità politica a livello nazionale, perché i fondi dati dall’esterno possano essere complementati con fondi dati dall’interno.
  • Se questa sensibilità non c’è, purtroppo succede che questi servizi deperiscono dopo che è finita la spinta iniziale.
  • Uno dei punti, quindi, su cui è importante intervenire attiene alla necessità di far crescere la sensibilità locale a livello dei decision markers e dei politici.
  • Questo è il tipo di esperienza che ci siamo guadagnati: è certo difficile ma, se c’è un concerto da parte degli enti finanziatori internazionali, dei politici locali, e di tutti gli altri, costituisce l’unico modo per assicurare una crescita.

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